Elenco dei prodotti per l'azienda CABERLOT – Marco Maffei
Una laurea in viticoltura e una grande passione quella di Marco Maffei per la vigna e per il terroir irripetibile che definisce l’unicità del Podere Carnasciale in cui lavora come Enologo, e del vino che vi viene prodotto, il Caberlot.
Siamo in provincia di Arezzo, a Mercatale Valdarno, borgo sulle colline del Chianti a sud di Montevarchi e a ovest di Bucine. Qui dagli anni ’80 del secolo scorso, viene coltivato un vitigno autoctono, originario dei Colli Euganei, che i coniugi Rogosky decisero di impiantare su suggerimento dell’agronomo emiliano, Remigio Bordini.
«Era, infatti, il 1972 – ci racconta Marco – quando Bettina e Wolf Rogosky acquistarono Il Carnasciale, un podere in cui da sempre si coltivavano uliveti e si produceva dell’ottimo olio. Da veri amanti del buon vino, i due però volevano entrare nel mondo della viticoltura. E così, confrontandosi con Bordini, si convinsero a realizzare una piccola vigna con questo varietale allora praticamente sconosciuto. Un varietale che lui stesso aveva rinvenuto per caso qualche anno prima in un vigneto abbandonato, durante un’ispezione per valutare i danni da grandine. Si trattava probabilmente di un incrocio naturale tra Merlot e Cabernet Franc che subito marito e moglie ribattezzarono Caberlot, mixando insieme i due nomi».
Tutta la storia (e la fortuna) del Carnasciale, è da allora imprescindibilmente legata alle vicende di questo vitigno unico e del vino – un Supetuscan vinificato in purezza – a cui dà il nome.
«Da quella prima, piccola vigna – continua Marco – nel corso degli anni, ne sono state impiantate altre cinque, ubicate tra i comuni di Bucine e Montevarchi. Ad oggi i vigneti del Carnasciale si estendono su circa cinque ettari di terra, che ogni anno producono 3500 magnum di Caberlot. Tutte numerate a mano. Un patrimonio da tramandare di generazione in generazione, un’eccellenza che io stesso all’inizio sono stato chiamato a preservare attraverso una certificazione biologica».
È un’uva di famiglia, il Caberlot, che è espressione della particolarità del territorio in cui viene coltivata perché come dice Marco, è il territorio che fa la differenza: «Sette milioni di anni fa tutto il Valdarno si trovava sotto un lago che si è più volte asciugato e riempito fino a seccarsi del tutto due milioni di anni fa. Ed ogni volta ha lasciato sotto di sé una serie di stratificazioni geologiche uniche. Sono proprio queste stratificazioni che noi abbiamo ricercato, una ad una per i nostri Cru, tutte vigne singole che non hanno confinanti se non boschi o oliveti. Porzioni di terra selezionate perché potessero garantire la migliore espressione della vigna». In fondo, che questo territorio sia sempre stato un luogo vocato alla produzione del vino di qualità è cosa risaputa, lo sosteneva anche Cosimo III dei Medici nel suo bando del 24 settembre 1716dove indicava la zona del Valdarno di sopra come una delle zone vocate alla viticoltura insieme a Chianti Classico, del Pomino/Chianti Rufina, e del Carmignano.
E per scoprire la storia antichissima di questo luogo, Marco suggerisce di visitare il Museo Paleontologico di Montevarchi che conserva al suo interno circa 3000 reperti provenienti dal Valdarno Superiore, di età compresa fra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore.
Proprio l’intervallo di tempo durante il quale si sono formate non solo le nostre “stratificazioni”, ma anche le famose Balze del Valdarno che rappresentano l’elemento più caratteristico di questo paesaggio. Si tratta infatti di strani rilievi composti da strati di detriti della cui particolarità si accorse per primo niente di meno che Leonardo Da Vinci: «Molti sostengono che il maestro, le dipinse persino sullo sfondo della Gioconda – ci racconta Marco. – Non si può venire in Valdarno senza fotografarle. Magari proprio da quello stesso Ponte a Buriano ritratto nel quadro».