Che sia un Vin Santo toscano, un passito di Pantelleria, una grappa o un brandy, poco importa. L’importante è chiudere gli occhi per un istante, sedersi comodi, tirare un bel sospiro e solo dopo impugnare il calice…
Quando ci mettiamo a sedere con le gambe sotto al tavolino, pronti a godere delle gioie della cucina (e della cantina), due sono i momenti fondamentali.
L’inizio e la fine. L’inizio per l’atmosfera di attesa e di scoperta, la fine perché in realtà rappresenta la sintesi del percorso che abbiamo intrapreso ed ha il compito di coronare con saggezza e moderazione anche gli animi più raffinati.
E così, portata dopo portata, la cena è quasi finita, i toni si sono distesi ed il tempo sembra rallentato. È in questo momento che ogni degustazione assume un fascino differente.
Che sia un Vin Santo toscano, un passito di Pantelleria, una grappa o un brandy, poco importa.
L’importante è chiudere gli occhi per un istante, sedersi ancora più comodamente, tirare un bel sospiro e solo dopo impugnare il calice…
Considerare i vini dolci o i distillati una questione da fine pasto, è certamente riduttivo, ma è altrettanto vero che questa collocazione atmosferica è figlia di una tradizione radicata. Oggi, in realtà non sono rare le occasioni in cui ristoranti propongono in abbinamento a piatti salati, vini dolci.
Una sera, invitati a casa di un amico, ci vedemmo servire un risotto al gorgonzola piccante, scaglie di cioccolato fondente, pesche caramellate e marron glacé con un Vin Santo dell’entroterra toscano.
All’inizio increduli, sul fatto che gli fosse anche solo venuto in mente un accostamento del genere, ci avventurammo con la forchetta nel piatto. Dopo il primo assaggio ed il primo sorso, immediatamente chiamato dalla indomabile curiosità, ci trovammo davanti all’abbinamento dell’anno. Ancora oggi, indelebile nella mente nostra e di tutti i commensali di quella serata.